percezione

Vedere il mondo come azione: la percezione diretta secondo Gibson

Riflettendo sul tema della percezione, mi sono spesso interrogato su quanto la tradizione psicologica e filosofica l’abbia trattata come un processo prevalentemente interno, mediato da rappresentazioni e inferenze. L’incontro con il pensiero di James J. Gibson ha profondamente modificato questa prospettiva, introducendo una visione radicalmente diversa del rapporto tra organismo e ambiente.

Gibson concepisce la percezione come diretta, ossia come un contatto immediato con il mondo e non come il risultato di un’elaborazione cognitiva su dati sensoriali grezzi. Il suo approccio, noto come ecologico, rovescia l’idea che il soggetto debba “ricostruire” la realtà a partire dagli stimoli. Secondo Gibson, l’informazione necessaria a percepire è già presente nell’ambiente: non è ambigua né incompleta, ma strutturata in modo tale da poter essere colta da un organismo in movimento.

Ciò che percepiamo, dunque, non è una semplice somma di sensazioni, ma un insieme di invarianti che rimangono costanti attraverso le variazioni del flusso ottico. Il movimento stesso del corpo diventa una condizione di conoscenza: muovendoci, esploriamo l’ambiente e raccogliamo informazione sulle sue proprietà. In questo senso, la percezione non è mai passiva, ma è un’attività esplorativa e intenzionale.

Un concetto centrale della teoria gibsoniana è quello di affordance. Ogni oggetto o superficie offre all’organismo determinate possibilità di azione: un pavimento permette di camminare, una tazza di essere afferrata, una scala di essere salita. Le affordances non sono proprietà oggettive né rappresentazioni soggettive: sono relazioni tra l’organismo e il suo ambiente, definite dalla compatibilità tra le caratteristiche fisiche del mondo e le capacità del corpo.

Trovo che questa impostazione sposti l’attenzione dal “come vediamo” al “perché percepiamo”. La percezione, per Gibson, non serve a produrre un’immagine mentale del mondo, ma a guidare il comportamento in modo efficace e adattivo. Vedere non è interpretare, ma agire nel mondo.

Questa prospettiva ha implicazioni che vanno oltre la psicologia della percezione. Essa invita a ripensare il modo in cui consideriamo l’esperienza corporea, il ruolo del contesto, e persino la possibilità di una percezione artificiale. Un sistema privo di corpo, di movimento e di intenzionalità — come una macchina che elabora immagini — non può percepire nel senso gibsoniano, perché gli manca il legame diretto con un ambiente da abitare.

In definitiva, con la sua teoria si può affermare che percepire significa essere immersi nel mondo, partecipare attivamente alla sua struttura e scoprirne, di continuo, le possibilità di azione. La percezione non è una rappresentazione della realtà, ma la forma primaria della nostra relazione con essa.

La percezione del tempo con il VR

Ho trovato per caso questo interessante articolo pubblicato su Timing & Time Perception. Alcuni ricercatori hanno sperimentato come la percezione del tempo venga influenzata dall’utilizzo dei dispositivi di realtà virtuale.
A qualcuno potrebbe risultare persino scontata come affermazione, confrontandosi magari con la reazione dei propri figli dinnanzi ad un videogame che li fa “estraniare” dal cosiddetto qui ed ora, scatenando difficili discussioni su quanto tempo sia realmente passato davanti alla console. :))

Ovviamente in questo caso leggiamo di una ricerca effettuata con criteri e metodi scientifici, in cui dei ricercatori hanno “misurato” quanto l’immersività della realtà virtuale alteri la percezione del tempo, creando quella che viene definita una compressione del tempo.
Benché tale fenomeno fosse stato già affrontato in determinati ambiti specifici, in questo caso gli studiosi hanno cercato di concentrarsi sul fenomeno percettivo astraendolo dal contesto di riferimento, quindi concentrandosi proprio sulla distorsione che la nostra mente subisce con l’utilizzo di dispositivi immersivi.
Chi volesse approfondire questa tematica, credo possa trovare un interessante esempio di sperimentazione in ambito medico nell’articolo Schneider, S. M., Kisby, C. K. & Flint, E. P. (2011). Effect of virtual reality on time perception in patients receiving chemotherapy. Support. Care Cancer, 19, 555–564. doi: 10.1007/S00520-010-0852-7. in cui viene osservato come l’utilizzo della realtà virtuale modifichi la percezione del tempo in pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia sulla base di alcune variabili messe in correlazione (es. età, sesso, stato fisico, ecc.).

Come dicevamo, in questo articolo i ricercatori hanno cercato di studiare, con un approccio statistico, l’aspetto percettivo del tempo, analizzando il comportamento di diversi studenti che si sono sottoposti a questa sperimentazione, confrontandosi con la risoluzione di una sorta di labirinto 3D (creato con Unity) in modalità VR e tradizionale.
Durante questa esperienza digitale, i partecipanti dovevano premere una combinazione di tasti quando pensavano fossero passati 5 minuti.

La ricerca ha portato alla luce un effettivo processo di compressione del tempo fra gli utilizzatori delle tecnologie VR. L’attribuzione di tale fenomeno, secondo gli autori, non è attribuibile a condizioni contestuali o emotivi nell’utilizzo delle apparecchiature (diciamo che l’entusiasmo dell’utilizzo dei visori VR potrebbe in qualche modo alterare la misurazione, ma in questo caso i risultati sarebbero stati opposti), quanto piuttosto ad una possibile minore percezione del proprio corpo a causa dell’isolamento a cui conduce l’immersività VR (l’utente non “vede” il proprio corpo, né il contesto ambientale e pertanto perde dei riferimenti su cui basare la propria percezione dello trascorrere del tempo).

Nello specifico, lo studio ha evidenziato che i partecipanti che hanno giocato tramite VR hanno utilizzato la simulazione per una media di 72,6 secondi in più prima di percepire il trascorrere dei 5 minuti rispetto agli altri partecipanti che hanno utilizzato un monitor tradizionale.

In attesa che nuovi ed ulteriori studi possano portare eventuali altre conferme a tale ipotesi, potremmo magari iniziare ad immaginare possibili applicazioni della VR in ambiti terapeutici e medici, in cui questa “compressione temporale” possa diventare funzionale all’attenuazione di patologie o donare sollievo durante terapie particolarmente intense.

Per approfondire: leggi l’articolo